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ALFONSO PER SEMPRE


articolo del 28/9/2011



Una folla composta e discreta si è radunata a Santa Rita, a Bologna, stamane, per dire "Ciao" e abbracciare, un'ultima volta, Alfonso Velez. Oltre alla moglie Giovanna, al figlio e a tutti i parenti, c'erano i ragazzi dell'Under 21 della Kaos Bologna, gli amici di famiglia di Alfonso e Giovanna, gli atleti della prima squadra, il tecnico e i dirigenti della società felsinea. La Divisione Nazionale Calcio a Cinque ha inviato i suoi rappresentanti con lo stendardo ufficiale, quale segno di rispetto nei confronti di un pioniere della disciplina, stimato da più parti per l'impegno profuso dall'inizio degli anni '80 ai giorni nostri.

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ALFONSO PER SEMPRE

Alfonso Velez, non uno qualsiasi, compagno di tanti week-end e mercoledì di sport, persona discreta e dalle buone maniere, capace di consigliarti se il suggerimento fosse richiesto, da buon siciliano, mai una parola in più, sugli argomenti trattati. Ma soprattutto l'entusiasta capace di chiedersi, la settimana passata, al telefono: "Ma sarò all'altezza di tornare a vestire i panni di un radiocronista, dopo 20 anni?". Eh già, perché Alfonso ha fatto parte di una indimenticata e grande squadra di radiocronisti sportivi, con e come Valerio Riglietti, bandiera delle radiocronache di calcio a 5, assertore di una diffusione del futsal a 360 gradi. Che, con Roberto Oddo di Radio Day, di Palermo, organizzò il pool di radio private che diede vita a 60° Minuto. Altra lungimiranza, altre idee, altro spessore: un giornalismo reale, non virtuale, non telefonico per scrivere un articolo, non a tassametro....

Un modo di fare informazione che ti dava la possibilità di raccontare le storie delle Torino, delle Palmanova, delle Augusta, di emergere. Piazze all'epoca non note, quali Bisceglie, e le venete non erano le armate di questi tempi. Ma un modo cui dovevi dare il "fritto", senza guardare in faccia nessuno, come si dovrebbe sempre fare, dicendo pane al pane e vino al vino e chissenefrega se hai uno sponsor potente. Perché in campo c'erano squadroni e atleti di clamoroso valore, da Pippo Quattrini a Massimiliano Rinaldi, da Gianni Fasciano a Gabriele Caleca ancora non "Puma" Caleca, dal primo Max Mannino, provenienza Ostiamare Calcio a Paolo Minicucci, Agenore Maurizi, il Budoni post-Lazio nel football, Andrea Rubei e compagnia cantando. Tempi in cui in pochi avrebbero ipotizzato che potessero uscire club come Marca e Luparense, in ordine sparso. E proprio l'attuale direttore della squadra di San Martino di Lupari, Fabio Vella, fungeva da radiocommentatore per le vicende dell'Augusta. Nel Lazio il capitano giocatore era Valerio Riglietti, seguito da gente in gamba come Andrea Pugliese, da anni in Gazzetta dello Sport, a Roma, Massimiliano Sernicola, che poi avrebbe preso altre strade, e una giovanissima Michela Naim, praticamente studentessa liceale. Da Bologna c'era questo signore, questo raffinato esteta della disciplina, che anche in quel tempo si domandava se potesse essere all'altezza, scambiandosi, con Valerio Riglietti, preziosi pareri, idee, prospettive, nelle riunioni romane, nelle finali, storiche, al Foro Italico, con tutta Roma davanti a Telemontecarlo e tutta l'Italia a sentire le varie radio collegate da "60° Minuto".

Non era solo questo, Alfonso. Ha combattuto, negli ultimi anni, dovendo far ricorso alla sedia a rotelle, ma mai perdendosi d'animo, nel voler bene alla vita, forse di più dei normodotati, perché senti che è un bene da cui non ci si deve distaccare, anche comprendendo le umane debolezze e i sensibili momenti di sconforto che possono capitare a sé stessi, quando certi movimenti al corpo non li puoi più chiedere. Ha avuto la fortuna, Alfonso, di sapersi porre, e trovare nella sua Giovanna, un elemento che in Francia chiamano come da noi nella pallacanestro definiscono, pivot, che, tradotto letteralmente, significa centro, nello sport, e punto di riferimento. E infatti si chiedeva, sabato, come fosse andato, parlando con la compagna di vita. Sei andato bene, Alfonso mio, sei andato con entusiasmo, trascinante, e già in apertura nel darti la linea, te lo confido, mi hai fatto venire i brividi nel ripercorrere, in un istante, 23 anni, passati, intensamente. Con dignità. No, non di corsa. Direi una bugia. E tu sei stato schietto, sincero, profondo e leale. E io, altrettanto, ho apprezzato il poter parlare in alcune occasioni, con te, di tante cose, dal calcio a cinque alla salute, alla vita di tutti i giorni, alle possibilità di questa disciplina; dai rapporti con gli altri club alla Divisione, che oggi si è alzata all'alba per dirti "GRAZIE", parola corta ma difficile da mettere in pratica, nella quotidianità. E quello stendardo non si sarebbe riservato a uno normale. Perché, nella tua sofferenza, caro fratello, hai avuto dignità, invidiabile caparbietà, e raro senso del realismo. E quando abbiamo parlato di Bologna come Basket City, del possibile arrivo di Koby Bryant, della tua Kaos Bologna che ha costretto non una, ma due volte, l'armata della Luparense a correre appresso ai tuoi ragazzi. Sei stato disinvolto, professionale, emozionato come il primo giorno di scuola, di 23 anni fa, quando eravamo tutti alunni, e ci hai fatto emozionare; a me, a Valerio, che ha appreso in diretta del tuo ritorno al commento, a Michela. Abbiamo tutti pensato fosse una cosa giusta, dovuta, l'ennesima, nostra scommessa, capace di dare emozioni. Come me ne hai date quest'estate, quando hai fatto un tifo sfrenato perché si ritorni, un giorno, a quel "60° Minuto". Quante volte, tra luglio e agosto, ci siamo sentiti e abbiamo detto, con il dovuto tatto "Speriamo un giorno si giochi tutti alla stessa ora e vedrai, Max, vedari Alfò, che le radio si incastoneranno in questo nuovo, nostro bel mosaico". Succederà, e tu sarai dei nostri, una volta di più.

E sono ben consapevole, lodevole, squisito capoccione, uomo coraggioso, che tu farai il tifo per noi. Così come ho pensato, per un attimo, che pur per te involontario, questa volta ci hai preso, tutti, nessuno escluso, in contropiede. E quelli al cuore, di contrattacchi, fanno male. Perché, almeno sul piano della presenza, rendono questo mondo minore di un Amico.

Se stavolta, noi abituati a parlare per tante volte, per tanti anni, per molte ore, resterò in uno spesso, profondo, umano silenzio, me lo perdonerai. A te la linea, una volta di più.

Tuo,

Massimiliano Cannalire

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