stampa | chiudi

PAOLO TESTA: LA GIORNATA CHE PRECEDE L'ADDIO


articolo del 17/1/2012

La giornata che precede l'addio


La giornata più triste, più profonda, più buia, complicata, densa. I singoli uomini e donne parenti di Paolo Testa, gli amici, tanti, che si sono alternati, da Fabiana, la moglie, a Massimo, il papà, a tutti i dirigenti e istruttori del Tor di Quinto, fino agli esponenti di squadre che gli amaranto-blu li hanno incrociati, tante volte, sulla strada, e, nella maggior parte dei casi, degli ultimi dodici anni, subiti, a suon di finali vinte dal club del 25 di via del Baiardo. Erano, eravamo tutti preparati, a una cosa del genere, almeno quelli che hanno vissuto il lato umano di Paolo, smettendo di pensarlo nel ruolo che l'ha reso il tecnico laziale di settore giovanile più vincente, qui, come in Italia. Scansando, per qualche giorno, le statistiche, che raccontano di tante cose belle, fatte non solo di vittorie, ma anche di averle sapute vivere, parimenti alle sconfitte, anche quelle più bruciante. Con una serenità invidiabile, di..."...un uomo perfetto", dice Massimo, l'uomo, non il presidente, il genitore, non il determinato e combattivo elemento politico testimone di tante cose della sinistra, italiana ed europea. Davanti a ciò che rimane di Paolo sul lato fisico, dice, orgoglioso: "Paolo, sei stato uomo di un'altra epoca, e come tale ti hanno voluto lassù perché da quelle parti stanno messi un po' male, di questi tempi, e qui si vede che in parecchi non ti meritavano, non ti meritano". Il tutto avviene verso mezzogiorno e venti, sotto gli occhi di Michela, una delle due sorelle, con l'altra, Chicca, che rimane per un momento al di fuori della camera mortuaria. Con tutti gli amici e i rappresentanti della più nota società romana di settore giovanile che restano sulla cima della discesa che porta da Paolo. Che ha cominciato già la sua ultima trasferta, quella dell'essenza, dello spirito, verso posti più nobili.
Un autentico calvario - Tutto il problema, il brutto male, che poi è stato fatale, è nato nell'estate del 2010, e un anno fa sembrava arginato, con un'operazione difficile, e l'asportazione di quasi tutto l'apparato digerente, con conseguente compito dell'intestino di fare funzione anche di stomaco. Una cosa che avrebbe stroncato, d'immediato, una moltitudine di persone, tra gli uomini comuni che incontriamo ogni giorno per strada. E invece Paolo ha lottato, come un leone, nei momenti del dubbio, dei primi dolori, fino praticamente ai giorni delle ultime festività. Dal 30 dicembre il crollo sul piano fisico, forse già dal 26; e fino all'8, il 9 gennaio in questo singolare paese in parecchi, troppi, vanno in ferie, pur di fronte a drammi come questo, e quindi la beffa va letta negli esami fatti quando si poteva, non guadagnando qualche goccia, pur remota, di possibilità di intervento. "Manca la prevenzione, in Italia", ha detto Massimo Testa, diversi giorni fa, quando lui, Fabiana, la nuora, Peppe e Veronica, due tra gli amici del cuore di Paolo, vegliavano, di notte, alternandosi a Daniele Quadrelli, amico e fratello di una vita, collega allenatore di calcio, a Marco Moretti, a Giampiero Guarracino, stratega di incalcolabile spessore tecnico calcistico, ma, in particolare, uomo di profonda umanità e al contempo di un realismo non comune, all'apparenza, per chi non conosce l'Orso, cinico. Ma non è così, essendo anche lui genitore, che, come Gianni Spallucci, Paolo l'ha considerato un figlio proprio, uno di famiglia.
Al di là di ogni ragionevole dubbio sulla gestione, Paolo è stato sfortunato, perché, risolto il problema allo stomaco, e ricaduto in difficoltà di recente, è stato talmente male che, fino a venerdì mattina, non si vedeva un barlume di speranza. E dopo la nottata di giovedì, quando, fraterno amico, avevamo pensato di non rivederti più, un momento positivo sembrava affacciarsi. Ma è stato subito ricacciato indietro.
La dimensione del rapporto umano tra il Paolo uomo, comunicatore, e i suoi giocatori, lo concede un aneddoto stupendo, spesso: torno a casa alle 2.35 tra giovedì e venerdì e mi contatta via computer Lucas De Rossi. Domanda secca: "Paolo?". Risposta: "Chiamami, subito!". "E' morto?". E io: "No". Quando mi telefona mi racconta che alle 5 avrebbe avuto l'aereo per Kansas City, Stati Uniti d'America, insistendo sul volerlo andare a trovare. Ci è andato, Lucas, l'ala destra più forte degli ultimi 20 anni forse 25 dei campionati juniores, il bravo, educatissimo ragazzo che ha rifiutato di permanere nella Lazio; che Giampiero Guarracino ha portato a Tor di Quinto, al Tor di Quinto, costruendo una corazzata irripetibile, capace di vincere due scudetti di fila, 2009 e 2010. De Rossi ha preso il padre, a Trevignano, è arrivato alla Columbus alle 4 del mattino, ha salutato per l'ultima volta Paolo, accarezzandogli la mano, prima di andare nel Missouri, a portare, fiero, l'amore fraterno per chi gli ha dato tanto, a sventolare, una volta di più, un vessillo che non contiene "solo" i colori calcistici di cinque scudetti e un campione del mondo, nella sua storia. Ma tanta, tanta, tanta tenera umanità. Che, a questo mondo, ci vuole.
La giornata è lunga, al campo, con un viavai nei numeri, nella forza d'animo, emozionante, come l'abbraccio di Paolo Fiorentini a Massimo Testa, con il presidente del Savio che, da genitore, ha subito la gran sofferenza di perdere un figlio prima dell'amico, rivale, avversario di tante partite, di qualche battuta, ma è un abbraccio che passa nel cuore di chi assiste come una sciabola può penetrare, fredda, i sentimenti, forti, caldi da destinare a un uomo generoso e disponibile. Che, per quanto comune, ha meritato l'aggettivo - mai sentito prima - di "perfetto" dal papà, dall'uomo Massimo, e, se vale, da un amico con il dono di saper mettere le cavità dell'animo per iscritto, quello di squisito, eccelso, meraviglioso.
Hai cominciato questo cammino verso Gerusalemme, Paolé. Buon viaggio. E domani te lo dirò, fortuunato, orgoglioso, privilegiato di aver ricevuto il rispetto, la considerazione, lo spiccato affetto, il coraggio delle proprie idee e tutte quelle belle cose rappresentate, fino alla fine, con dignità.

Massimiliano Cannalire

stampa | chiudi