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PAOLO TESTA: LA GIORNATA DI IERI AL CAMPO. QUELL'ABBRACCIO IMMENSO, PER UN VIAGGIO COSI' IMPORTANTE


articolo del 18/1/2012

L'OMAGGIO AL "VITTORIO TESTA"

 

Quell'abbraccio immenso,

per un viaggio

così importante

 

Alle 15.10 Paolo se ne va. Lasciando un seme

forte, forse, più del dolore assoluto,

dovuto alla sua assenza fisica.

Spiritualità di valore inestimabile

 

Descrivere la giornata di ieri non è cosa semplice neppure per chi è abituato da tanto, a fenomeni di massa, come possono essere una finale di coppa dei campioni, a Barcellona, o Istanbul, a Roma o Atene, a Losanna come a Manchester. Non è stata una cosa qualsiasi, o mescolabile con le tante, l'andare a rendere omaggio a Paolo Testa, sì, simbolo del calcio juniores e del settore giovanile, ma prima di ogni altra considerazione, ragazzo che ha conquistato tutti, e che è diventato uomo; nella consapevolezza di una crescita in corso, prima, e nell'aver preso le redini in mano, in corso d'opera, con il padre, Massimo, poi. Col genitore fiero di tanta lungimiranza, determinazione, umiltà, caparbietà, senso di appartenenza. Ecco, se c'è una cosa che accomuna le persone, gli uomini del Tor di Quinto, è il sentirsi quell'amaranto-blu nel DNA. Che è disciplina, che è dare senza aspettarsi cose materiali, in cambio, perché a differenza di tante altre società a via del Baiardo gli allenatori non prendono soldi, ma ricevono in dote la gestione, se volete inclemente, per quelli deboli di carattere, di una responsabilità. Guidare delle buone corazzate sovente vincenti sapendo bene di non dover commettere due volte lo stesso errore. Non il massimo, per chi vorrebbe contare su qualche spicciolo da mettersi in tasca: il meglio, se pensate, al contrario, alla capacità gestionale dimostrata, da quando, stagione 1999-2000, Gianni Agabiti vinse il titolo juniores regionali (3-2 ai supplementari con lo Scauri Minturno, rete decisiva al 119' di Valerio Ciardi, stadio Flaminio di Roma), con l'arrivo di Giampiero Guarracino. Ieri in tanti hanno percorso un cammino indietro nel tempo, fatto di sensazioni, di forti emozioni, di lacrime, perché quando si perde un tesoro del genere, sul piano umano, è giusto che i pianti arrivino dal Cile via computer, vedi Matteo Cantafio, dall'Ambasciata di Cuba a Roma, e, idealmente, dal quel Centro e Sud-America tanto caro a Paolo; da Kansas City, dove sta da qualche giorno Lucas De Rossi, che, prima di imbarcarsi, di notte, è voluto correre al capezzale dell'amico, del tecnico, per un ultimo atto deferente, nella notte tra giovedì e venerdì. Partendo da Trevignano alle 3, arrivando alla clinica sita di fianco al "Gemelli" alle 4, facendo il check-in, di corsa, alle 5 e mezza, prima di partire per il Missouri, per far sventolare nella Confederazione Stars & Stripes la bandiera della società, del club, del gruppo che gli ha ridato, dopo la Lazio, la voglia di tornare sui campi, coi piedi, felpati, di ballerino e col talento di un giocatore brasiliano, lui che è carioca, di madre. Che il calcio e la danza li ha nel sangue. Ma soprattutto è la fotografia di un amore fraterno, del voler abbracciare il compagno di viaggio, in fondo, di due sole stagioni, quando questo piccolo Kakà ha varcato il cancello trovando in Massimo Testa e Giampiero Guarracino, e, tecnicamente, in Paolo, una tosta e ammirata sponda per la sua fantasia. E' il ragazzo Lucas, che racconterà a figli e nipoti di questo folticrinito giovanotto, con tanto di pizzetto, salutato da un altro ragazzo che tutti vorremmo fosse nostro familiare, Paolo Ciavarro, quando legge quel messaggio cominciando con un soprannome, "Pizzo", quando descrive il momento più difficile, nel rapporto umano, tra l'allenatore e i giocatori, che di lì a poco sarebbero stati guidati all'ennesima impresa. Nello spogliatoio di Casal del Marmo Paolo, nel dare titolari ed eventuali cambi, dopo il numero 1, era scoppiato in un pianto, rotto dal pensiero che - siamo nel 2010, mese di giugno, finale scudetto col Bressanone - quel gruppo dei 1991 non lo avrebbe, tutto assieme, guidato più. Ma, al massimo della concessione, ne avrebbe ritrovati, due, forse quattro, con la regola dei fuoriquota alle finali nazionali. E lì è uscito l'animo, sensibile, dolce, fragile, immenso, dell'oceano di buoni sentimenti in cui abbiamo navigato tutti, con Paolo, nei suoi pensieri.

Il popolo intervenuto al “Vittorio Testa” - Un capitolo a parte merita la famiglia Bini, Delia e Claudio, umanamente esemplari, che non sarebbero mai mancati, avendo provato sui loro sentimenti ciò che è accaduto a Paolo a 42 anni e mezzo (1 giugno 1969) con Alessandro, a 14 primavere. Questa è una di quelle cose che dà la dimensione e la dimostrazione di cosa abbia significato Paolo per tanti singoli, e per la collettività, calcistica, sociale, politica, sotto ogni punto di vista.

La folla che è intervenuta dalle 11 del mattino, quando è arrivata la salma di Paolo, continua ad affluire quando le parole di Paolo Ciavarro lasciano spazio a quelle, che arrivano direttamente dalle cavità dell'amico di una vita, Fabrizio Tafani, ai cuori dei presenti. Lui che è tornato appositamente da Genova, sponda Sampdoria, dove lavora con mister Iachini nel tentativo di ricostruire una realtà caduta in disgrazia; lui che, con Daniele Quadrelli, Etilio Tirillò detto Chicco, componeva il gruppo storico degli allenatori che hanno rinforzato con Paolo l'ossatura degli istruttori. Cui si sono aggiunti per strada impegnati elementi dello spessore personale e della volontà di Giulio Pezzali, Fabio Di Marco, Sergio Bornivelli e Marco Moretti, e ancora tanti altri elementi che si sono riconosciuti nel fare il proprio lavoro di educatori al comportamento e insieme allo stare in campo; al rifiutare la parola "impossibile", ogni volta che si affronta una squadra di una società professionistica. E quante volte sono scivolate, le varie Lazio, Roma, Viterbese, Frosinone, Cisco Roma poi Atletico, dinnanzi alle squadre da battaglia rappresentate da Paolo e dal gruppo di colleghi, di compagni di avventura, di preparatori atletici capaci di sposare l'idea-Tor di Quinto. Un modo di riconoscersi, omaggiato da tutti.

E quando finisce di leggere quelle parole, che sono come una spada capace di passare ogni uomo e ogni donna dotati di sensibilità, da parte a parte, Fabrizio Tafani ribattezzato "Er tafano", ha una reazione spontanea, forte, di pianto, di grida, di cazzotti dati al tavolo di legno della segreteria; comprensibilissimo, dovuto, naturale. Perché il corpo dell'amico non c'è più, perché ha cominciato già il suo viaggio, spiritualmente, prima di arrivare per un abbraccio di migliaia di persone, al campo intitolato a Nonno Vittorio.

Tocca a Jacopo, amico tra gli amici, che ne ripercorre la bontà e le idee, politiche, di persona vicino alla gente normale, quella che soffre, combatte, che non si fa dire ciò che va fatto. Parole forti, che ne ricorda, fiero, l'identità politica, di rivoluzionario non a prescindere, ma da grande compagno di sinistra quale è stato, antifascista per scelta, in ossequio ai parenti partigiani. E con Peppe che utilizza poche parole, dolci, per l'amico, in modo composto, organizza la musica che a Paolo è sempre piaciuta, il reggae, in particolare, poi quella canzone di Stalingrado, riferita a una parte del mondo da rammentare. Così nell'aria risuonano canzoni della Banda Bassotti, suo gruppo preferito, seguiti ogni volta che hanno suonato a Roma e anche in trasferta, ricorda la sua Fabiana, sposata a giugno proprio nell’impianto sportivo, sul prato laterale al campo che oggi (martedì, n.d.r.) saluta il suo più prezioso rappresentante; e ancora brani dei CCCP, degli Assalti frontali, dei 99 posse, dei Villa Ada posse, dei Radici nel cemento, degli ALBOROSIE...

Con tanto di "Bella Ciao" dei Modena City Ramblers, che rappresenta l'identità di una famiglia che ha avuto parenti massacrati di botte dai nazifascisti italiani e tedeschi, a Ponte Milvio, tanti anni prima. Ma i Testa hanno lunga memoria e la fierezza di rappresentare quel grande valore che è l'antifascismo, al punto che Paolo andava in panchina con la catenina della falce e del martello, con le magliette rosse e bianche raffiguranti Lenin, specchio fedele della sua idea, di quella di Nonno Vittorio, che lo sta per riabbracciare, insieme Mamma Franca, che lo aspetta, amorevolmente. Con Lallo Ferzi, uomo ruvido solo nella voce ma di una bontà d'animo emersa, nei sorrisi del passato, la cui unica colpa è stata quella di amare il bere. E' destino che quelli bravi, e vincenti, siano destinati a subire qualche cattiveria; a Lallo è capitato, di tanto in tanto, a Paolo, grazie al cielo, no. Perché non te ne dava la possibilità, e la folla intervenuta per salutarlo, per rendere assieme ossequio e silenzio al giovanotto, al tecnico, peraltro il più vincente di tutti, nelle giovanili, nel Lazio, come in Italia, la dice lunga, sulla stima, sull'ammirazione delle genti calcistiche.

Jacopo quando legge crolla quasi alla fine, Peppe no, perché è stato con Veronica l'amico che ha tenuto di più, la notte più del giorno, che è lavorativo, si sa, la mano, la fronte, la testa a Paolo, che l'ha soccorso come solo chi ti dà amore fraterno sa fare, nelle stanze doloranti della Columbus; immensi d'umanità, Veronica e Peppe, nel dare il cambio a Fabiana. Stesso discorso per Quadrelli, profondamente colpito, quando ha capito che il Paolo con cui è cresciuto era lì per lì per salutare. Come ha fatto il diretto interessato proprio la sera di domenica, quando ha detto a Papà Massimo: "Portami via non ci voglio più stare qui, voglio andare a casa".

Quando tocca prendere la parola a Massimo, viene l'uomo al microfono, non il presidente, viene la persona, che ha dato tutta la forza d'animo, tutto l'amore al figlio che stava salutando lui e noi, sia nel letto d'ospedale, che sul feretro quando gli ha accarezzato la fronte baciandolo, prima di prendere la via del campo sportivo, lunedì mattina, intorno alle 13. E Massimo ha dato tutta la dolcezza di cui è capace, a Paolo, mista a quel realismo che lo ha reso un dirigente invidiato, temuto, per certe esternazioni, lontane anni luce, ma non lontano è il rendersi conto della voragine, come l'ha chiamata Michela, una delle due sorelle di Paolo, che si è aperta. Ammirevoli, nella sofferenza, i Testa, umani, da far rabbrividire: "Io avevo ipotizzato e provato a impostare il mio, di funerale; nella mia vita non avrei mai pensato di dover seppellire mio figlio. Mi ero detto che avrebbe seppellito lui me, e questa cerimonia, non avendo preparato 'sto funerale, mi procura grande difficoltà perché avevo studiato i dettagli esattamente per il contrario". E qui, la persona Massimo sbotta, naturalmente, a piangere, con il commento rotto dalla naturale, logica commozione. Riprende dicendo: "Come uomo sei stato perfetto, come allenatore parlano i risultati. E oggi la testimonianza di tutta questa gente è lo specchio fedele di quanti ti hanno benvoluto e rispettato. Come compagno sei stato capace di dare una mano ai poveracci, prendendo in casa gente sfrattato, sei stato persino migliore di me, come compagno, e fiero di quel grande valore che è l'essere antifascista". Poi è quasi lui che chiede scusa agli intervenuti dicendo: "Scusate se qualcosa non è andato bene". Lo dice due volte. Umile, a dismisura, in questo concetto, che ripete due volte. Immenso, Massimo.

Vengono letti dei messaggi provenienti da ogni parte del mondo, dei suoi ragazzi, nati nel calcio con lui fin da piccolini, poi portati dalla scuola calcio agli Esordienti e ai Giovanissimi, ai primi passi dell'agonismo. Si vede gente da ogni parte d'Italia, come le due telefonate che arrivano: una di Catracchia, antico presidente del Tor di Quinto, l'altra di quel dolce e corazzato centravanti che è Ferdinando Sforzini, "Nando", per i suoi genitori, venuti lunedì, subito, come Paolo Fiorentini, come Teresa, segretaria del Savio, tornati per quest'ultimo, raccolto omaggio a Paoletto, e capaci di inestimabile sensibilità. Perché Paolo, come Gianni Spallucci, anima dirigenziale gentilissima del Tor di Quinto, sanno cosa significhi perdere per strada un pezzo di sé: a loro è successo, purtroppo, anche se non se ne parla mai, per rispetto e grande senso del tatto che si deve ai diretti interessati. Un'altra chiamata è di Bruno Conti, che manda il vessillo e i ragazzi della A.S. Roma, come la S.S. Lazio, e tante realtà romane e della provincia di Roma, dall’Anziolavinio aalla Lupa Frascati, con Alberto Cerrai dotato di una umanità disarmante, da amare, e con il figlio che, come lui, è stato parte del Tor di Quinto, tra le giovanili e la Juniores Primavera, tra padre e figlio, con grande passione. Come Melchiorre Zarelli, come sempre tra i più discreti e puntuali in senso assoluto, come Alberto Raponi, Antonio Di Bisceglie e Alessio, come Maurizio Perconti, come tanti rappresentanti di ogni categoria, dei mezzi di informazione, da Eraclito Corbi a Raffaele Minichino, passando per i colleghi di oggi e di ieri, dai fratelli Cavaliere ad Agrifoglio, da Natali ad Attolico a Dirix, a Mastrangelo, fino ai ragazzini che fanno il paio con i nonni di oggi. Per raccontare che, senza Paolo fisicamente presente, di scatto, brusco, diventa forte, il compito di ogni singolo, che è quello di comportarsi bene, di prendere l'esempio nel senso più ampio del termine, più radicale. Senza starci a pensare troppo. Perché il seme lasciato da Paolo è la dimostrazione di come resti qui, in terra, la spiritualità, forse persino più forte del dolore, assoluto, che rimane nel cuore di ogni persona che ha avuto il piacere di starci insieme qualche giornata, mezza ora, sabato, domenica o mercoledì che siano stati. Un privilegio di tanti, di una moltitudine.

Alle 15.10 viene chiusa una seconda volta, la macchina, con il feretro entrato alle 11, e sistemato tra l'area di porta e quella linea bianca che tante gioie gli ha dato, nei pressi dei pali vicini al civico 25 di via del Baiardo. Paolo se ne va, e non torna più. Era partito, fisicamente, prima di un'ultima presenza, quella di oggi, che non farà parte degli annali. Ma dotata di un abbraccio così forte, di ognuno dei presenti, di persona o con il cuore, da restare impressa nella storia di ognuno e di una città intera. Buon viaggio, grande uomo.

Massimiliano Cannalire

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