Omaggio a Stefano Rosso
articolo del 18/9/2008
La canzone romana popolare d’esportazione in lutto Se ne va Stefano Rosso, uomo libero, spontaneo, efficace A 59 anni salutiamo l’impegnato elemento trasteverino, noto per aver fatto cantare una chitarra, fine poeta e compositore Nella giornata di mercoledì Trastevere e la città di Roma hanno salutato uno dei suoi figli più ispirati, il libero pensatore della chitarra, Stefano Rosso, papà dell’amico e compagno di avventura a Rete Sport David Rossi. Il congedo terreno è avvenuto nella stupenda cornice di Santa Maria in Trastevere, meraviglia e gioiello della scultura cristiana e della pittura, parte integrante di una delle piazze più popolari della Città Eterna. Il cantautore romano ha sofferto per dieci mesi una malattia che non ha avuto la possibilità di combattere, avendo di fianco i componenti della sua famiglia che nell’ultimo anno si sono stretti con grande compattezza a lui. Nato e cresciuto a Trastevere, la sua Trastevere nel dicembre del 1948, grande appassionato di calcio e della Roma, ha rappresentato la celebre zona di Roma con la chitarra, lo spartito e la voglia di cantare versi e motivi non solo gradevoli ed orecchiabili ma che sono rimasti nella storia della canzone popolare italiana. Partito come diversi di quelli che hanno percorso fortunati sentieri, Stefano Rosso ha cominciato con il Folkstudio, la medesima struttura, cantina ma anche palestra capace di dare una bella base a Francesco De Gregori ed Antonello Venditti. Cominciò in duetto con il fratello con lo stuzzicante nome del “gruppo” di Remo e Romolo nel 1969. Non ha frequentato lezioni di piano, di solfeggio o di schola cantorum, Stefano, ma ha imparato come sa fare ogni buon autodidatta, dotato di ottimo udito e senso del distinguere un suono, una sfumatura rispetto a una cosa diversa. Nella seconda metà degli ani ’70 suscitò un evidente clamore, con la censura presente in quel periodo a tutti i livelli, un testo allegro ma evidentemente non gradito alla parte perbenista dell’italica nazione. Faceva e fa così: “Che bello, due amici, una chitarra e uno spinello”. Figuriamoci. Per fortuna ha avuto un carattere non votato alla ricerca della luce dei riflettori a tutti i costi, preferendo esibizioni per una cerchia ristretta di amici e conoscenti, o di quei locali che, daje e daje, ti rendono popolare perché sei bravo, sei accattivante, sei idoneo a comunicare dei messaggi. La popolarità l’ha ottenuta anche per le valide collaborazioni offerte a signori della canzone italiana del calibro di Claudio Baglioni e della voce di Mia Martini. Il primo ha cantato due canzoni dal titolo “C’e’ un vecchio bar nella mia città” e “Valentina”. A Mimì ha preparato “Preghiera”. Ma le soddisfazioni non sarebbero mancate come un Telegatto vinto a distanza di qualche anno con “Una storia disonesta”, che in tanti hanno almeno fischiettato, durante la vita, proprio per l’allegria che suscita e accompagna il motivo. Dal Folkstudio si usciva con la consapevolezza di essere caparbi, determinati e in questo “quella palestra”, quella di Giancarlo Cesaroni, era più di una semplice garanzia. Tra i suoi componenti più impegnati sul fronte sociale, perché no?, politico, la canzone dedicata alla ragazza uccisa durante una manifestazione del Partito Radicale, il 12 maggio 1977, Giorgiana Masi. Anche se il primo singolo di successo era uscito due anni prima con il titolo di “Letto Prima di rompere l’accordo con la famosa casa discografica RCA, quella di Lucio Battisti, per intenderci, aveva partecipato a una trasmissione condotta da Gianni Morandi, che già era conosciuto, e alla graziosa Elisabetta Viviani, l’olandesina delle reclami del bucato nota anche come la compagna del golden boy del calcio italiano, Gianni Rivera. Era il 1975 e quell’idea televisiva di Mamma RAI portava il seguente titolo: “Alle sette della sera”. Faceva il chitarrista in quella situazione TV, con la sua rimarcata sensibilità sul piano acustico. Nel 1980 la partecipazione a Sanremo con il brano “L’italiano”, inserito nell’album “Io e il signor Rosso”, che valse il decimo posto, piazzamento giudicato positivo dalla critica. Poi come avviene nella vita, una delusione personale, amorosa, lo indirizza ad arruolarsi nella legione straniera. Nel 1985 torna sul palcoscenico con una partecipazione a “Un disco per l’estate”, e la canzone è “Bella è l’età”. Il 1987 è il periodo di “Com’è difficile”, nel 1989 esce “Femminando”. Dopo altri otto anni ripercorre la strada comunemente all’RCA, con “Miracolo italiano”. Nel 2001 produce “Il meglio” con diversi brani mai fatti circolari quindi inediti; tra questi la sua versione di “Preghiera”, scritta a metà degli anni ’70 e affidata alla bella voce di Mia Martini. Negli ultimi anni Stefano aveva ricominciato ad avere un volenteroso rapporto con il puublico, con esibizioni apprezzate, e ad incidere dischi: nel 2005 è stato apprezzato il remake di “Una storia disonesta”, canzone che ha accompagnato perlomeno un paio di generazioni, fatto con Tonino Carotone. All’estremo saluto i presenti hanno apprezzato il sereno discorso di ringraziamento fatto da David Rossi, amico, collega, profondo e riconoscente, per la passione, musicale, e calcistica, che Stefano ha dato al figlio, futuro conduttore, peraltro tra i più seguiti della città e della regione. Diversi minuti fatti di lucido realismo, squisito tatto e anche di salace ironia nonostante il momento fosse, ovvio, indirizzato a un argomento che di allegro non ha nulla. E per l’età di Stefano, che aveva 59 anni, a dicembre ne avrebbe fatti 60, e perché tante volte il dolore si vive all’interno, in una sorta di proprio confessionale in cui forza, dolcezza e umane fragilità si mescolano. In questo David ha dimostrato una gran dose d’ammirevole serenità, e la voglia di schernire gli umani difetti con quell’affetto di cui è capace. Come le tante persone partecipi in chiesa, con gli amici della piazza di Santa Maria in Trastevere, quelli dell’attività radiofonica, l’editore del Gruppo Roma Radio, Franco Nicolanti, e tutti i rappresentanti della struttura, da Alessandro Paglia a Dario Bersani, che con David ha condiviso sette anni di radio e partite; i colleghi Ugo Trani e Alessandro Angeloni del Messaggero, e tanta, tanta gente comune, che ha riempito la chiesa. Gente semplice come quella cui erano destinati quei motivetti canticchiati e fischiati dall’uomo della strada. E’ stato il cantatutore moderno di una zona che è ROMA. E la sua storia. Trastevere. Massimiliano Cannalire