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Ciao Orlando uomo buono e idealista


articolo del 4/10/2008

IL SALUTO A UNO DELLA “VECCHIA SCUOLA”

CIAO ORLANDO, UOMO BUONO E REALISTA

Se ne va l’uomo che comprese la grandezza di Conti, la bravura di Ago Di Bartolomei, il deciso estro di Ugolotti. In quella magica Primavera, fermata da due sole autoreti a un passo dal tricolore, giocavano il portiere Orsi, Faccini, che poi salì con Liedholm,Fazzini, vincente a Nepi, Albano, Bassano Romano da tecnico

Il calcio regionale laziale e quello nazionale piangono, commossi, rispettosi, la scomparsa di Orlando Di Nitto, gentile elemento dalla battuta mai gridata e dal semplice frasario. Si è spento a 68 anni ancora da compiere, al Sant’Eugenio di Roma, dove era stato portato dopo un breve periodo di coma da cui sembrava essersi ripreso. Non è dato sapere quali complicanze abbiano portato l’ex allenatore della Roma, del Villalba al doloroso trapasso. L’ambiente è stato unanime nell’espressione dell’apprezzamento per la persona, per il tecnico, per la sua maniera discreta di porsi, dai suo compagni di un tempo allo stadio delle Tre Fontane, Franco Scaratti, Ernesto Alicicco, Giancarlo De Sisti; per passare a uno di quei giocatori che giunsero a un soffio dallo scudetto Primavera con la ROMA, nel 1976, dietro al Torino, Claudio Fazzini. Con lui, in quella squadra c’erano Fernando Orsi, che avrebbe avuto poi un percorso sull’altra sponda del Tevere, tra la serie B e la massima divisione, e Faccini, facente parte del gruppo che Liedholm travasò nella prima squadra poi capace di vincere il tricolore. Per la sua spontaneità, franchezza, garbo, rispetto, Orlando lascia un grande vuoto, forse proprio ora un ambiente così particolare si accorgerà di quanto fossero importanti i suoi silenzi, la sua arguzia nelle battute, quel suo ridere composto ma brioso e vitale.
Dal gruppo della Roma giovanile fu lui a indicare ai massimi dirigenti giallo-rossi il talento di Bruno Conti, bocciato a un provino fatto, in sua presenza, a Bergamo con l'Atalanta. Tornato a Roma il giocatore ebbe la sua grande chance nella A.S. ROMA. Come ricordava qualche settimana fa Francesco “Franco” Scaratti, difficile che si sbagliasse, coi giovani. E con loro ci ha saputo fare, per averli saputi prendere, e perché bravo sul piano tecnico e tattico”.

                                                                                  
LA STORIA DI UN BRAV’UOMO E UN PROFONDO CONOSCITORE DEL GIOCO DEL CALCIO

E’ stato un uomo difficile da intervistare

Orlando è stato l’anti-personaggio, quello che saggiamente non ti diceva che possono uscire tre risultati da una partita (1,X,2), bensì sette. Già, con il suo sorriso sornione ti diceva: “1,X,2, ok, ma può essere sospesa la partita, può non presentarsi l’arbitro, e siamo a cinque, può mancare una o l’altra squadra”. E allora devi dare ragione a chi è cresciuto di fianco al Crock, al secolo Commendador Cruciani, scomparso di recente.
E’ stato colui il quale ha portato alla Roma Bruno Conti, tramite il direttore generale Camillo Anastasi; era la Roma di Anzalone, era la Rometta che aveva una voglia matta di diventare “LA ROMA”. Così come ha fatto le fortune del Villalba in Eccellenza, portato anche Interregionale!, dello Scauri e di quel Frosinone che lo mandò via perché non faceva giocare il figlio del presidente. Ma prima di andare nei dettagli di una storia intrinseca, complicata da scovare nei suoi più remoti meandri, di certo Orlando Di Nitto va raccontato: salutava sempre per primo, entrava sempre in punta di piedi in qualsiasi campo, tribuna, posto, e quando gli garbava, lo trovavi a via Teano, campo profumato di storia, alla voce Savio, a vedere qualche partita e qualche giovanotto che aspira a diventare campione. Per intervistare Orlando lo dovevi convincere, e ti accorgevi che le risposte (capitò qualche anno fa) sono: “No”, “Sì”, “Può darsi”. Come Zeman, peggio del boemo. Con l’arguzia, la sagacia, la fine ironia, mai volgare, e quelle parole che escono soltanto in una serata di amici, e allora si apriva come nemmeno ti aspetti. E le sue parole da discrete diventano anche giudizi netti, come la scuola di Franco Cocco, da questo punto di vista: “Uno è giocatore o non è giocatore“, con qualche escamotage, lui che è tecnico e non direttore sportivo (un ruolo più cinico rispetto a quello del trainer), per trovare parole idonee da non urtare, affondare la sensibilità del diretto interessato. Non è stato capace nemmeno nello scherzo, Orlando, quando gli chiedevo: “Ma come era da giocatore un Vannozzi, o un Lenzini?”. E lui, con un sorriso paterno: “Eh, eh, eeeera bravo”. Inimitabile, nel tatto, premesso che da giocatori sono stati, i suddetti elementi, un buono e arcigno difensore, l’attuale allenatore del Castelverde Bricofer (I Categoria). E l’allenatore oggi a Ciampino (Eccellenza) un roccioso attaccante, dotato di potenza.
Nel dettaglio Orlando Di Nitto è nato a Roma il 4 dicembre 1941, cominciando da allenatore all’Omi, Tor Marancia, che ritroverà, nella sua vita, quando la Roma condividerà una esaltante stagione, perché da quel quartiere, da quella zona, da quel campo, per tanti anni abbandonato, partirà per il Fulvio Bernardini tale Agostino Di Bartolomei. Dopo l’Omi la Tevere Roma, che giocherà le sue partite al “Tre Fontane”, e realtà che ha vissuto la IV Serie, anche se lui, per sette, otto anni ha lavorato nel relativo settore giovanile. Arriva il momento della Roma, quello che sognerebbe ogni allenatore.
La squadra della città che lo ha abbracciato e dato alcune possibilità. Già, quella del presidente Anzalone, con l’ufficio in via del Corso 184, nello stesso palazzo del sottoscritto. Ho avuto la fortuna, abitando al Centro di Roma, di vedere i Franco Cocco e gli Orlando Di Nitto già negli anni ’70, accomunandoli al commendatore romanista. Era la Roma precedente quella di Dino Viola. A lui il compito di preparare giocatori e ragazzi dai nomi che diverranno popolarissimi, qualcuno, indelebilmente, nella storia della Roma, del calcio italiano: nella sua Primavera passano Agostino “Di-Ba”, il capitano dello scudetto, D’Aversa, Ezio Sella, Tonino Criscimanni, il difensore Amenta, Walter Casaroli e Claudio Fazzini, che giustamente, ma siamo già nell’estate del 2007, Mimmo Ferretti, signore e signora firma del Messaggero, definirà, senza dubbi, “Mister Dilettanti”. Quella squadra arrivò II, dopo aver eliminato Lazio (finale regionale), Spal, Inter ma dietro al Torino, che fu campione d’Italia immediatamente nei pressi della prima squadra di Radice. Saranno gli ultimi sorrisi granata, storicamente parlando.
Intanto Di Nitto si accasa a Frosinone, dove lavora per un anno e mezzo, portando la prima squadra, che milita in Interregionale, dal XIV al II posto. Ma non basta, perché non schiera il rampollo della casata presidenziale, Battisti. Non accetta i compromessi, uno che ha tirato su i giocatori che ha indirizzato lui, per esempio, nella Roma. Dove, nel frattempo, il giocattolo cambia timoniere: Anzalone, più per motivi personali, familiari, che economici, saluta e garbatamente si colloca nell’archivio della società giallo-rossa, non prima di aver esonerato Herrera in favore di Trebiciani, che da guida della Primavera si ritrova, non senza gavetta, in I squadra. Arriva Dino Viola, con la sua ironia, fine, ma prima di farla conoscere ai più, prima che la Roma subisca i torti delle piccole, dal settore giovanile Orlando Di Nitto se ne va, e quell’uomo che ai nostri tempi non voleva dare fastidio a nessuno, veniva dimenticato dalla recente festa della Roma e dalla Roma stessa (ma in questo caso non è, purtroppo, l’unico esempio), decidendo, all’epoca, di andarsene in America, su suggerimento del suo eterno mecenate, Crociani, e del direttore generale della Roma, Camillo Anastasi. Fu lui che, su suggerimento dell’allenatore di via Teano, prese Bruno Conti, due lustri prima di vederlo diventare Campione del Mondo. Lo vide in due occasioni, dopo che l’Atalanta non lo volle per la statura, e lui lo ritrovò signor giocatore della rappresentativa juniores del Lazio. Di Nitto allenerà per un anno i Las Vegas Sycurs, e quando riparte dall’Ina Casa, passando allo Scauri, gestito dall’ex amministratore delegato della Fiorentina, Lombardi. Il tecnico romano, che ha origini gaetane, ha avuto un rapporto profondo con il Sud di questa regione, vissuta, appunto, dalla Ciociaria fino al mare (all’epoca non era nemmeno pensabile che si facesse la fusione tra la società di Marina di Scauri e il Minturno). Siamo quasi nel calcio contemporaneo, e sul confine tra i periodi Di Nitto passa al San Lorenzo di Vito Di Bari, che prima squadra, come è ancora adesso, non ha avuto e non ha. Inizia quasi uno stupendo decennio targato Renato Scrocca, verso cui, come per Crociani, l’uomo Orlando prima che il severo e profondo tecnico, più volte ha espresso immensa gratitudine. Mai una volta che non l’abbia fatto, nelle occasioni di dialogo sull’argomento. Con il sodalizio tiburtino passerà un anno in Interregionale ma in realtà il Villalba Ocres Moca diventerà un’habituée dell’Eccellenza, anzi una nobile della categoria. Il suo Di Bartolomei diventa Italo Ronchetti, uno dei giocatori più raffinati, eleganti, corretti e dotati di piedi che il massimo campionato regionale abbia mai avuto, lo stesso che milita nell’odierno Fidene (Eccellenza) ma che, nel 2006-2007, ha contribuito al successo della Cynthia Genzano nei play-off, salita in Serie D anche con le sue geometrie. Quel Villalba spaventava spesso squadre miliardarie, nel vero senso della parola, nel decennio che sarà la consacrazione di un torneo ipotizzato e messo in pratica da Antonio Sbardella, punto di riferimento all’interno delle innovazioni firmate dalla Lega Nazionale Dilettanti. Con il Villalba Ocres Moca sfiorò ancora una volta l’ascesa in interregionale (1997-1998), ma fu interrotta da un arbitro maldisposto, anzi, predisposto al punto giusto; era la prima o la seconda domenica di maggio, quando in Eccellenza si giocava a 16 squadre e 30 giornate. Alla 30° il Villalba ci arrivò con un punto di vantaggio su Fregene e Tivoli, che improvvisamente non smisero più di vincere (….), e infatti il delitto perfetto fu compiuto al Turiddu Madami, quando per tre volte Ronchetti e soci furono spediti per le terre in area di rigore ma il mediocre Perazza dell’Aquila – poi promosso in Serie D, forse per premio… -  fece quello che gli impavidi fanno: nulla. Finì 0-0, e il club tiburtino terminò terzo a 57, considerato che a 58 finirono Tivoli e Fregene. Con lo spareggiò andò in D la squadra tirrenica, guidata da Andrea Calce, quella di Crialesi arrivò di sopra coi play-off, superando il Formia e l’Alcamo, dal 7 giugno al 28. Fu un colpo durissimo per un Villalba che poi, qualche anno dopo, si dedicherà al solo settore giovanile.
Dopo tre fugaci esperienze, Mentana, Pisoniano, forse un’altra sulla Tiburtina, di recente aveva provato a costruire un rapporto per ricostruire o rimettere in carreggiata le giovanili dell’Almas. Ma non se n’è fatto granché, dopo una garbata chiacchierata con la dirigenza bianco-verde. Un’occasione persa per tutti e due, perché forse, un annetto fa, si sarebbero potuti gettare i presupposti per dare belle soddisfazioni alla società di via Demetriade e a un antico ma mai remoto maestro di calcio, giovanile e non.
Avrebbe potuto rientrare nel giro per ritrovare i giovanotti di un tempo che ha affrontato e allenato. Fascino perverso di questo calcio d’Eccellenza.
Saluto e salutiamo con grande affetto Orlando il grato, il discreto, il silente, il riconoscente, grande uomo e gran tifoso della Roma. Quella voglia di allenatore come si faceva quando propose una Roma a tre punte (1976!), condivisa tra i dilettanti con Riccardo Firotto del Maccarese, lo ha portato, come il collega, a lanciare tanti giocatori altrimenti anonimi. E’ una vecchia scuola, ma sempre attuale. Non è solo un calcio di sponsor. Un entusiasta, un gran signore, nella sua straordinaria semplicità. Fatta anche di quei cappellini di lana di un calcio mai sbiadito.
Massimiliano Cannalire

P.S. = Ti ho voluto bene. E stimato. E per una volta me ne sto zitto, nella stanza dell’amico David, in radio, facendo mio compagno un silenzio che di te era difficile interpretare. Mi perdonerai, se per una volta, uno votato all’anti-sintesi come me non ha che una parola. Grazie.

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