stampa | chiudi

Tor di Quinto, a Casal del Marmo senza il peso delle responsabilità


articolo del 10/6/2010


Il Tor di Quinto schiude per la quarta volta in cinque anni la porta che immette nel salone principale, quello dello scudetto, della possibilità di bissare quanto ottenuto un anno fa, nel 2006, tredici (sul campo, 1993) e quindici anni prima (1991, a tavolino,ex-aequo con la Spes Artiglio). Ora il viaggio di ritorno è più spensierato, con la possibilità, ghiotta, di ottenere il quinto tricolore, che non farebbe più parlare di storia ma di leggenda vivente, di un club, del suo modo di fare calcio, con il libero staccato, che a livello giovanile fa sempre la sua signora figura, scava delle differenze, aiuta il lavoro degli altri tre difensori. Costruisce i difensori, in un paese non sempre costante nello spedirne di sopra, almeno capaci di marcare un avversario come si deve.
Il gruppo che ha vinto nel 2009 vuole firmare in blocco un clamoroso bis e, mentre stanno giocando Faenza e Brixen (con la notizia che arriva, del vantaggio altoatesino in terra ravennate), torna a Roma di corsa, in pullman, per recuperare quante più possibili energie sul piano fisico, nervoso, perché – è vero – nella compagine di Paolo Testa ci sono futuri, potenziali campioni, ma che oggi sono anche degli studenti. Un gruppo compatto, che ha saputo vincere e ha saputo passare con grande dignità su qualche inciampo, e del resto l'attuale compagine è formata da chi le sue rivincite se le è sapute capare, costruire, con metodo, con sacrificio, con grinta, e con voglia di dimostrare di far parte di una razza pura di atleti, calciatori, elementi di primo piano, tecnico, tattico e umano.
Che questo sia stato un play-off di semifinale all'insegna del bel calcio lo avevamo capito sabato, pur dinnanzi a palesi errori offensivi, oggi lasciati a casa, lontani da ogni pur umana tentazione: il senso del gioco corale, la voglia di riuscire scevri da egoismi, la volontà di lasciare, per qualcuno, il segno, pesante, di rilievo, nella storia di uno dei più gloriosi club del calcio italiano, sono una parte dei fattori rappresentati, parafrasando l'anima gentile Giovanni Spallucci detto Gianni, di una squadra vera, forte, su cui è stato fatto un grande lavoro. Una squadra in cui va evidenziata la pazienza di chi, giocando meno sul piano dei minutaggi, consapevole del valore dei titolari, si è saputo accomodare in panchina evitando qualsiasi dubbio, ben conscio che, prima o poi, sarebbe toccato anche ai vari Licciardone, apprezzato per la duttilità tattica, Paris, entrato oggi a dare il cambio all'inossidabile Andreani, Bianco, che ha saputo mettere a frutto con assist e qualche golletto le proprie entrate in campo. Per un Tor di Quinto che, di base, grande merito tra i tanti del d.s. Guarracino, ha scommesso, da due anni, su un portiere valido e coraggioso, e sicuro, quale è risultato De Simone. Lo spessore tattico di Cruz, le doti tecniche e tattiche di Loreti, che sa quando sganciarsi e quando restare in copertura, il tempismo e il senso dell'entrata di Andreani; la determinazione e la volontà nel fare bene espresse da Marcelli e Luca Di Gioacchino. Il reparto centrale che è fatto di tutta gente già pronta per altri palcoscenci, da De Rossi a Ciavarro, da Commini alle acclarate possibilità che appartengono a Frasca, per giungere all'esperienza di Poggi, e alla fantasia che ci mettono gli attaccanti, bravi a giocare sia in orizzontale che in verticale, da Pischedda a Marioni, a Cola. Tante piccole, medie e grandi cose che, ben distribuite, utilizzate, controllate, hanno saputo creare un biennio forse irripetibile, in un calcio che va di fretta anche nel settore giovanile, e che invece ha costruito una gran bella squadra. La più bella juniores degli ultimi vent'anni, fatta con gente sotto età solo dodici mesi fa, e con la metà di quel gruppo unita ai più giovani, a quelli che avevano lasciato ampi rimpianti in Sicilia, tra Nicolosi e Paternò, da Frasca a Loreti, talento puro, a Marioni. Se si rendono conto, tutti assieme, del potenziale che, uno per uno e tutti assieme hanno, ce n'è davvero per pochi. Merito di chi, queste scelte, le ha fatte, dalla presidenza, Massimo Testa, a Giampiero Guarracino, lo stratega, da chi li ha messi a punto fisicamente, l'altro anno, Fabrizio Tafani (ora a Brescia con Iachini, n.d.r.), a chi da due stagioni ne ha preso il posto, Emanuele Marra; da chi ha un compito di rappresentanza e rapporti interni ed esterni, Gianni Spallucci, a ogni singolo dirigente che non è capitato al 25 di via del Baiardo per caso, o per starci una stagione salvo poi emigrare. Fare parte di questa specifica idea di calcio racchiude tanta capacità di sacrificio, di discrezione, di rispondere se si è chiamati in causa e non a metter giù delle gratuite analisi, fatte tante per fare. Ovvio che uno dei segreti resti il vivere da professionisti in un settore di dilettanti, che il fatto di rimanere al proprio posto di 15 agosto sia cosa diversa rispetto a chi in quel periodo o prima o dopo va al mare. Hanno scelto il fiume, in pochi, tanti anni fa; hanno evitato di dare retta alle tante sirene, quelle che chiamavano il bravo Paolo Testa (dove sono quelli che dicevano che a Tor di Quinto non si potessero formare gli allenatori perché c'era l'orco?) in improbabili società professionistiche dalle idee forse non sempre chiare, o per squadre rappresentative in cui si cerca una continuità non facile da ottenere. Hanno fatto percorsi impopolari, quelli per cui non cercavi il mezzo di informazione ma avveniva il contrario, e li trovavi, li trovi sempre sul posto. Hanno scelto, volontariamente, di lavorare sul calcio, quello di base, quello che ti porta a intessere rapporti in giro per una regione, e talora anche oltre, per evitare false speranze che poi il campo possa spazzare con rara sincerità. Quante volte il Tor di Quinto ha pescato fuori regione? E quante volte lo ha fatto rimanendo scontenta, come società? Questa volta, anzi, da un lustro sano, si è puntato su un gruppo, che ha saputo vivere la sconfitta ed evitare il facile montarsi la testa pur di fronte agli allori conseguiti. Che ha saputo fare ciò che deve una squadra. Giocare al calcio, con corsa, coraggio, geometrie, grinta, intelligenza tattica, voglia di affermarsi e di confermarsi. In questa e in altre doti che andranno evidenziate, mentre torna il pullman all'imbrunire verso una sorridente via Flaminia, ci sono dei singoli e societari meriti che non sono volti al futuro. Ma fanno parte di uno splendido presente. Costruito da un gruppo di dirigenti e tecnici maturi e giovani, Quadrelli, Pezzali, Sembroni, Manzoni, Moretti, il professor Marra (preparatore atletico), Maragliulo, Sonnino, e altri, sistemati in riga dalla voglia di credere in un progetto tecnico, prima che pubblicitario, in cui sacrificarsi significa non chiedere nulla, dote apprezzata dal vertice del sodalizio, e messi sul “chi va là!?” dall'essere sempre sotto pressione, fosse presidenzial-pressing o quello, torturante, del direttore sportivo, dell'esperto e profondo conoscitore Giampiero Guarracino, altro che, per diversi superficiali lettori e distratti analisti delle calcistiche questioni, non sarebbe stato all'altezza dell'illustre genitore, Giovanni detto Gipo; e i risultati, anche, hanno detto il contrario.
Vada come vada, sabato. Perché questi giovanotti saranno, tra qualche anno, laureati, insegnanti, padri di famiglia, calciatori, e dirigenti del domani. Ma se non li ha cambiati tutto ciò che hanno vissuto, stanno per arrivare alla finale della chiusura di un ciclo con un vantaggio. Che è un paradosso. Giocarsela, pur da favorita, contro la novità Brixen, senza avere il peso delle responsabilità. E quella è una forza che, in una finale, può essere e rappresentare una via solida.
Massimiliano Cannalire

stampa | chiudi