INTERVISTA A ENRICO M. SBARDELLA, ALLENATORE DELL'UNDER 17 FEMMINILE
articolo del 27/7/2012
INTERVISTA AD ENRICO MARIA SBARDELLA (tecnico della Nazionale Under 17 femminile) di Alessandro Battaglia Enrico Sbardella, ex calciatore e adesso allenatore della Nazionale under 17 femminile. Una passione per il calcio che è iniziata quando? “Una passione che inizia da sempre. Da quando piccolo giravo per casa e mi trovavo tra i piedi numerosi calciatori ancora in attività quali Bruno Giordano, Lionello Manfredonia, Vincenzo D’Amico, che era solito frequentare casa in quanto papà era direttore generale della Lazio, quindi diciamo che non avevo altra scelta. Mi sarebbe piaciuto fare altri sport, avevo tutti i miei amici che giocavano a rugby. Ho anche provato. Un aneddoto carino: un giorno torno a casa e dico ai miei genitori che volevo provare a giocare a rugby. Mi risposero: e che sport è il rugby? No, no, qui dentro si mangia pane e calcio, quindi o lavori nel calcio o pure ti arrangi. Avevo un fratello calciatore, molto bravo. Lui ha fatto gli allievi nazionali e la primavera nella Fiorentina, ha fatto anche l'esordio in serie A con la Fiorentina di Agroppi nell’86/87, era la Fiorentina di Passarella, Oriali, però io non avevo né i piedi né la grinta sua quindi dovevo vivere con questo fantasma dentro casa”. Quali sono i tuoi obiettivi di lungo periodo ? “Beh, la mia carriera si divide su due binari paralleli, quella come allenatore, come tecnico federale che ormai va avanti da quindici anni. Entrai all’Acquacetosa a 22 anni come istruttore promettente, istruttore di scuola calcio e da li è partita, diciamo, la carriera in qualità di tecnico. Dall’altra parte ho sempre avuto, studiando a Scienze Motorie, ho preso la specializzazione in marketing e management perché ho sempre avuto questa grande passione nella gestione aziendale nell’ambito sportivo, forse questa l’ho ereditata da mio papà in quanto è stato prima direttore generale della Lazio e poi Presidente del Comitato Regionale Lazio della Lega Nazionale Dilettanti nella Federcalcio. Quindi la mia carriera cammina su due strade parallele. Mi piacerebbe un giorno che si potessero unire ma forse dovrei cambiare paese, andare in Inghilterra, dove il tecnico fa anche il General Manager, cosi con un'unica veste farei tutto”. Quali sono i tuoi obiettivi di breve periodo ? Nel breve periodo un sogno da tecnico, visto che il calcio femminile in Italia non è molto sviluppato, mi piacerebbe vederlo sviluppato perché conosco i sacrifici che facciamo tutti quanti noi che ci crediamo e lo conosciamo. Il problema di base è la mala informazione che esiste all’interno sugli sport “secondari”. Il calcio femminile è uno sport secondario come lo è il rugby. Ripeto, io ho tanti amici che giocano a rugby. Mio cugino che è Video Analist della nazionale maggiore. Il calcio femminile nessuno lo conosce. Questa mattina, mentre mettevo su SKY sport tg 24, parlavano della partita di calcio delle olimpiadi. La partita inaugurale che è Brasile-Camerun di calcio femminile. Quindi hanno fatto un breve servizio sul calcio femminile. Ti racconto questo perché mi è nata quasi una sorta di gelosia, perché voglio dire…parlano di calcio femminile solo quando si parla di Olimpiadi o di Mondiali, per il resto, si parlava di calciatrici brasiliane, giapponesi, statunitensi. Lo sappiamo gli Stati Uniti sono un milione di tesserate, le giocatrici scrivono le biografie. Qui in Italia mi piacerebbe tanto e magari potrei fare qualcosa anche io per il calcio femminile vincendo magari un campionato europeo di categoria: potrebbe essere una cosa positiva. Per quanto riguarda la carriera manageriale o comunque dirigenziale che forse è meglio, mi piacerebbe un domani percorrere la strada che ha fatto mio papà in Federcalcio. Il sogno più grande potrebbe essere quello di un giorno candidarmi alla presidenza del Comitato regionale Lazio e proseguire quello che mio papà ha fatto per dodici anni fino al 2002”. La partita più bella e quella più brutta quando tu eri un piccolo calciatore? “Il calcio è stato motivo di risate, in ogni caso, con gli amici che mi seguivano, anche perché io fondamentalmente giocavo in porta e questa cosa, ripeto, non originava un dualismo dal momento che mio fratello era già tra i professionisti, e io impegnato con l’Aurelio a via Mattia Battistini, poi al Tanas Primavalle. Poi al massimo sono arrivato a calcare i campi di eccellenza, però i ricordi più belli sono quelli del settore giovanile, sono quelli di un torneo vinto, all’epoca già c’era il Beppe Viola, con i giovanissimi vincemmo un Beppe Viola proprio con l’Aurelio e giocavamo in casa di Mister Morelli; e lo vincemmo ai rigori e io ne parai due. Quindi quello forse è l’unica cosa che ho vinto ed è quella che mi ricordo di più. Avevo 14-15 anni. Vedi, quindi, le cose belle poi rimangono come rimangono anche le brutte. Le brutte sono quelle dell’infortunio subito durante un campionato di promozione durante una gara, in quanto ti rimane dentro qualcosa di negativo, il dolore, la paura di non poter più proseguire. A me è capitato durante una partita di Prima Categoria, Fiamme Oro, dove io giocavo, e Amatrice. Io originario di Amatrice, perche ho mia mamma di Amatrice, quindi giocavo contro tutti i miei amici di infanzia. Quello è stato il momento più brutto perché io aspettavo quella partita come la partita della mia vita, e parliamo di una partita di Prima Categoria. Fiamme Oro – Amatrice. Su un rinvio arrivai a questo scontro, io uscii al limite dell’area di rigore, per rinviare e mi infortunai. Li praticamente cominciò la mia carriera da studente di scienze motorie e poi da tecnico. Lasciai li il calcio e non ebbi più il rammarico, però, di averlo lasciato. Secondo me è stata una scelta buona e positiva. Oggi sorrido quando vedo giocare gli altri a calcio perché malgrado io viva di calcio lo intendo o a livello professionistico o a livello giovanile. Adesso il mondo del pallone sta cambiando, a partire dalle società di quartiere fino ad arrivare alle grandi società calcistiche di Serie A. Cosa ne pensi di ciò che sta accadendo in questo periodo dove anche il mondo del calcio non è più lo stesso? “Si sono persi tutti i valori, sia a livello giovanile che a livello professionistico. A livello professionistico lo vediamo dal fatto delle scommesse e quello che fu prima di Moggiopoli e dal punto di vista del calcio dilettantistico e giovanile si sono persi i valori perché oggi i genitori non valutano e non considerano più quello che una società, un allenatore, un dirigente può dare all’istruzione del bambino e quanto può influire sulla sua crescita, ma loro valutano solamente la categoria e lo sbocco per poi avere questo bambino nel mondo professionistico. Si dà molto più retta ai millantatori piuttosto a chi, invece, vuole donare qualcosa a questi bambini dal punto di vista dell’istruzione. Il calcio di prima? Mah, sai, parlando con i miei vecchi amici, ma non di data, che sono Picchio De Sisti, che incontro durante le riunioni della Federcalcio, ma anche parlando con Bruno Giordano, un fratello maggiore per me, mi raccontano di un calcio diverso. Il calcio di oggi è più legato all’aspetto estetico, dal bambino al genitore piace di più l’idea di come è vestito piuttosto di ciò che fa. Oggi una squadra che ha il campo in pozzolana se riesce a fare dieci iscritti di scuola calcio è grasso che cola. Poi magari li, invece, insegnano a giocare a calcio e li dove è magari tutto è sintetico no. Non c’è più considerazione di quello che poi è l’oggettivo valore in mezzo al campo”. Sei appena tornato da Norcia dove hai coordinato uno stage di sette giorni, dove si sono incontrate varie società calcistiche italiane femminili. In cosa consisteva? Una cosa molto bella. E’ un discorso molto ampio che penso possa interessare. La UEFA, per lo sviluppo del calcio giovanile, ha istituito un progetto che si chiama Grassoluz, quindi proprio calcio dalla base sarebbe, calcio in erba. Il Grassoluz è tutto ciò che comprende l’attività giovanile e di sviluppo, quindi scolastica, attività per disabili, attività femminile. Tutte le federazioni nazionali debbono alla UEFA certificare la qualità del lavoro che viene svolto. La UEFA destina il massimo di sette stelle a chi adempie a tutti quanti i doveri. Oggi la Federcalcio italiana ha quattro stelle su sette. Le ultime tre stelle non le può avere, almeno lo dico io per i prossimi 3 anni, perché ahimè ci manca quello che purtroppo è il calcio femminile. Sembrerà un’assurdità ma gli altri paesi, ad esempio la Germania ha circa 800.000 tesserate, donne che giocano a calcio e nel rapporto tra tesserati maschili e tesserate femminili e popolazione sportiva loro si trovano al primo posto. La Francia ha sette stelle, la Germania ha sette stelle, l’Olanda ha sette stelle. L’Italia ne ha quattro, perché fa tutto bene tranne quello di cui necessita il calcio femminile. Questa Grassoluz, ti dà la possibilità e l’accesso a sovvenzioni da parte della UEFA, punteggi anche nelle assegnazioni sia delle finali di Champions League che in quelle dei campionati europei. Hanno inserito questa graduatoria all’interno di tutto ciò che è UEFA, sia maschile che femminile. Per Platinì il calcio è uno, è unico, non è calcio maschile e calcio femminile. Se non altro le finali di Champions League fanno giocare prima quella del femminile e poi il giorno dopo quella maschile. Quindi a Norcia abbiamo praticamente, con il settore giovanile scolastico di cui io sono componente all’interno della commissione dell’attività di base, abbiamo fatto uno stage dedicato al Grassoluz femminile, abbiamo invitato una commissione UEFA, abbiamo avuto ospiti illustri quali la Valentina Vezzali, che stava preparando le Olimpiadi li a Norcia, abbiamo avuto Paolo Casarin, ex arbitro nonché elemento presente in commissione UEFA per le regole dell'International Board, organo della FIFA. E' venuto il presidente del Settore Giovanile e Scolastico Gianni Rivera, è venuto Giancarlo De Sisti, avevamo uno staff dove all’interno composto da psicologhe, preparatori atletici, tecnici da me coordinati; abbiamo fatto dei lavori con l’istituto di Scienze Motorie di Tor Vergata coordinati dal professor D’Ottavio. Tutto questo con 36 ragazze che, oltre all’attività calcistica, avevano anche tutta l’attività didattica al seguito e alla UEFA è piaciuto molto e vorrebbe esportare questo tipo di progetto anche ad altre federazioni perché è stata una bellissima settimana, in cui si è visto il calcio in un'altra veste, in una veste più scientifica ma anche più umana. Bellissime le parole di Casarin sul pallone perché siamo tutti attratti da questo pallone, perché comunque quando noi vediamo un oggetto spigoloso lo evitiamo, invece quando noi vediamo una cosa tondeggiante e morbida ci tuffiamo. E’ stata una settimana bella e ricca sia per le ragazze che hanno partecipato sia per noi. Io sono una persona aperta sempre ad apprendere e da questa settimana ho imparato molto”. Parliamo della tua Nazionale. Gli ultimi impegni che avete giocato e i prossimi. “L’attività femminile, come quella maschile giovanile, si sviluppa in due fasce di età. L’under 17 e l’Under 19. Ambedue giocano i campionati europei tutti gli anni. La UEFA ha voluto che le due fasce di età partecipassero ad una competizione europea. Allora per il settore giovanile Under 17 e Under 19, che sono le attività ufficiali UEFA, si fa una prima fase di qualificazione a mini torneo a quattro squadre poi una seconda fase ad aprile dove le squadre si affrontano in 4 gironi da 4, successivamente le prime quattro accedono alle fasi finali che si giocano a giugno direttamente a Ginevra, sede UEFA. Questo è per quanto riguarda l’Under 17 femminile, poi naturalmente l’Under 19 sia maschile che femminile hanno più iscritti e quindi fanno le fasi a semifinali e finali. Ora noi abbiamo sempre la difficoltà ad arrivare alla seconda fase. L’ultima volta ci hanno eliminato alla prima fase, l’obiettivo di quest’anno sarà sicuramente quello di passare alla seconda fase e magari di tentare pure questa grande cavalcata alla fase finale, che già potrebbe essere un grande sogno”. Lei è stato direttore tecnico della Totti Soccer School e adesso sta per iniziare una nuova avventura nella società del Bettini. Cosa c’è, all’orizzonte? “E’ stata una grande sfida: io debbo molto alla Totti Soccer School perché per quattro anni ho avuto la possibilità di formare un gruppo di istruttori valido e di trasmettere il mio modo di vedere il calcio. Sono stato messo nelle condizioni di poter dare molto ed è stata una bella avventura. Quatro anni, una bella cavalcata, arrivata con l’agonistica alla vittoria del Beppe Viola, che è stato un punto molto importante dove influisce oltre alla bravura anche tanta fortuna. Però arrivarci è sempre importante. Il salvare le categorie di eccellenza è stata anche quella una grande avventura, fatto con squadre non selezionate. Però io reputo che il più grande traguardo della Totti Soccer sia stato quello delle categorie e della scuola calcio, cioè l’aver lavorato e l’aver portato la Totti Soccer ad un livello eccelso dal punto di vista tecnico. Dopo quattro anni ho l’esigenza di rimettermi in discussione, di cercare di trasmettere ad altri un modo diverso di fare calcio. Non voglio avere la presunzione di dire che il mio calcio è diverso da quello del vicino di casa o che il mio modo di fare calcio sia il migliore, però dico sempre una cosa. Sicuramente è diverso, che sia migliore sta agli altri giudicarlo. Per me è il migliore, ma sarà migliore anche quello del prossimo anno perché appronterò dei miglioramenti, delle migliorie e cambieremo sempre delle cose. Lo stimolo grande che ti deve far stare all’interno dell’ambiente del calcio è quello di trovare nuove sfide e questa del Cinecittà Bettini è perlopiù come direttore generale è doppia, perché oltre a quella tecnica come supervisore della scuola calcio mi si prospetta anche quella dal punto di vista organizzativo e amministrativo. Abbiamo un grande bacino, abbiamo una proprietà che vuole crescere e che quindi vuole ritagliarsi il suo spazio nel calcio laziale. Ci mettono a disposizione tutto per far bene e quindi ci proviamo. Il problema è uno. E’ che alla Totti Soccer avevamo solamente un squadra con cui competere lungo il litorale che era l’Ostia Mare. Qui ne abbiamo 6 nel giro di dieci chilometri quadrati, quindi è sempre più difficile, però è il bello delle sfide”.