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Tor di Quinto, un altro scudetto in bacheca


articolo del 13/6/2010



Oggi le valutazioni contano poco, sulla singola partita. Perché è stato vinto uno scudetto, soddisfazione massima, in una stagione, in più stagioni, per una società sì abituata a vincere tutto ciò che c'era da vincere. Potrebbe avere ragione Giovanni Spallucci, sull'abitudine a vivere, respirare, rappresentare certi livelli, ma per una volta dissentiamo, dall'anima gentile del 25 di via del Baiardo. Perchè c'è stato, è successo qualcosa di profondo, di forte, ossia che il successo sia arrivato su misura, 1-0, ma con l'onore portato negli spogliatoi fieramente, dalla gente dell'Alto Adige, della bella Bressanone, gioiello di una stupenda parte del Paese. Le parole del tecnico dello Brixen la dicono in modo chiaro, netto: “Per noi è un onore aver perso 1-0, solo 1-0, contro una squadra attrezzata, pratica, forte, atleticamente capace di gestire la partita più importante dell'anno, e di aumentarne e calarne il ritmo a proprio piacimento. Per noi, per la nostra crescita, è stato importante essere qui, davanti alla possibilità di giocarci uno scudetto, di portare il nome di una società, che ha una storia, di una città, di una provincia e di una regione”. Parole di rara ammirazione per un avversario che ha vinto, ha saputo vincere, ha saputo combattere ma non tirare calci, in una gara corretta, con il pubblico di fede altoatesina da una parte, e quello, folto, romano, dall'altra, intento a incitare i propri beniamini. Anche quando c'è stato l'episodio della mancata concessione di un evidente calcio di rigore, non dato ai campioni d'Italia, dopo cinque secondi le rimostranze erano finite lì. Perché tanto il rigore non sarebbe tornato indietro, e la partita, al contrario, sarebbe andata avanti. Eppure vanno dati, i voti, anche di una partita, ben distinta da quelli di un anno intero. In cui non era facile ripetersi, in cui non era facile scansare le provocazioni, come quelle, vergognose, subite in occasione della partita di semifinale con il Futbol, che forse insegneranno ai posteri. Che non si deve trascendere i propri risentimenti personali e portarli su un campo di calcio, nascosti dietro dei (per fortuna) trascorsi, odiosi simbolismi politici. E' una squadra, quella che si è appena confermata leader di una categoria, che ha vinto davanti a tutte le juniores delle regioni iscritte alla F.I.G.C., che ha battuto sette volte su sette gli avversari incontrati in finale, che ha tenuto il livello della sua espressione calcistica elevato, su triangolazioni, cross, giocate pratiche e di fino, completando un ciclo nato nella scuola calcio, proseguito in terra trentina, in cui sciupò uno scudetto (2006) giovanissimi. E poi andando a vincere per metà gruppo con gli allievi, giunti terzi in Sicilia. Ha saputo, il collettivo a disposizione di Paolo Testa, riprendersi dagli scivoloni, mettersi a disposizione coi gregari di fronte a giocatori decisamente più dotati in attesa che arrivasse il momento propizio. E quel momento è stato sfruttato bene sia da chi ha giocato meno minuti sia da quelli più utilizzati, spremuti, stanchi,m mai domi, sempre pronti a battersi, consapevoli che gli avversari avrebbero benedetto una sconfitta del Tor di Quinto. Perché il Tor di Quinto a livello juniores è come il Milan in versione europea: ha perso in maniera beffarda ma, quando ha perso, l'anno dopo era di nuovo lì, a giocarsi tutto.
Ecco perché da De Simone ad Andreani, da Loreti a Ciavarro, da Marcelli e Di Gioacchino e Cruz passando per Frasca, Commini e Ciavarro, arrivando a Pischedda e Marioni, e ancora da De Rossi a Licciardone, Cola, Bianco, Poggi, Baccei, Silvestro e Cola, meritano tutti un 10. Perché chi verrà dopo dovrà confrontarsi con un paragone assoluto, ed è cio che ha rappresentato chi, Paolo Testa, nel quadrato di uno spogliatoio chiuso, ha pianto, di commozione, prima di scendere in campo. Il che ne denota lo spessore, la profondità, l'attaccamento a chi ha saputo guidare per mano e a chi gli ha permesso di confermarsi una bella persona, in gamba, e un tecnico capace di vincere il terzo scudetto dopo tante coccarde regionali. Naturali, i moti di gioia, i pianti, di Paolo Testa, dopo la gara e dopo la premiazione, quelli di Marco Moretti, Michele Maragliulo, le secchiate d'acqua per ricordarsi di più di uno stupendo 12 giugno. Perché sarebbe stata l'ultima volta di una squadra grande, forte, stoica, coraggiosa, ben conscia di quegli sporadici momenti di umana debolezza, da sostituire con prove di grande spessore come quella di oggi. Ci sono tanti aggettivi, che si potrebbero utilizzare. Non irripetibile perché è un termine ascoltato tante volte, almeno negli ultimi quindici anni; e, puntualmente, si è materializzata una SQUADRA, capace di fermare il ricorrente rapporto con gli ultimi atti, coi successi. Usiamo quello del tecnico Vacalebre: “FANTASTICA”. Ci associamo. Proprio perché fatta di bravi ragazzi, compagine da ammirare. Che ha fatto quello che sapeva mettere in pratica. Giocare, correre, scansare la fatica, e anzi renderla compagna di viaggio fino all'innalzamento di un trofeo. Non stupitevi, se non dovessero fare strada, i singoli, d'ora in avanti, visti i tanti scienziati del calcio, in giro. Ma non stupitevi nemmeno del contrario.
Massimiliano Cannalire
(hanno collaborato Paolo Nardi Elia Modugno,
Fulvio Ventura, Alessandro Natali)

 

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