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"Antonio smise di pensare al suo sogno, quello di ogni arbitro, e, al gol di Rivera.."


articolo del 11/7/2010



"Antonio smise di pensare al suo sogno, quello

di ogni arbitro, e, al gol di Rivera...”

 

Il ricordo che il nostro direttore ha chiesto a Nando Martellini,

il 16 gennaio 2002, in occasione dell'ultimo saluto all'arbitro di

Germania-Uruguay di Mexico 1970

 

 

 

Ci sono poche date che hanno la forza d'urto, la capacità, l'importanza, di rimanere impresse più di ogni altra. Di certo quando se ne va un amico, uno che ha dimostrato di saper stare al mondo, pur in mondo singolare quale è quello del calcio, dalla Serie A fino ai Giovanissimi, ti duole. Ti fa male, ci pensi, a distanza di anni, nell'umano tentativo di darsi pace, di ragionare con serenità. Ho seguito, personalmente, gli ultimi mesi di Antonio Sbardella, uno che poteva davvero fare fascicoli su come si potesse dirigere una partita, fosse una finale di un campionato del mondo oppure si trattasse di uno spareggio per passare dalla Promozione alla Serie D, dal momento che l'Eccellenza l'avrebbe proposta, introdotta, battezzata proprio lo Sbardella presidente del Comitato Regionale Lazio. Ho due flash di Antonio degli ultimi tempi, più un terzo racchiuso in una audiocassetta che, tecnicamente, è passata di moda, ma visti i protagonisti, non sarà mai, remota.

La prima immagine è la stanza di via Pollenza quando eravamo in quattro, credo nell'autunno del 2001, e mi recavo dal presidente Sbardella con grande umiltà e rispetto, essendo, all'epoca sì arbitro, ma nella circostanza andai a via Pollenza per invitarlo al 1° Trofeo Mid Sport, che sarebbe durato, poi, sei anni. Un premio capace di mettere in evidenza i migliori giocatori, tecnici, arbitri e, ogni tanto, qualche collega di carta stampata o emittenza privata. Così spiegai al presidente, che combatteva già la malattia accompagnandosi col bastone, che sarebbe stata una gran serata, il 1° novembre 2001, a Magliano Romano, appena fuori il casello, con 100 persone. C'erano, nella stanza, l'attuale numero 1 regionale, Melchiorre Zarelli, all'epoca segretario del Comitato e compagno di tanti campionati del presidente, Nuccio Caridi, e a un certo punto si affacciò anche Cesare Sagrestani, dell'A.I.A.

Mi rispose, il sor Antonio, come veniva affettuosamente chiamato dalle parti di Casal Lumbroso, dove dimorava: “Lo so che me volete bene, che è un gesto d'affetto, invitarmi, ma poi lì c'è la cena, e voi ve mettete a magnà, e io nun sto in condizioni eccelse”. Lo disse con il sorriso, commentò quella cosa con grande pazienza, e io compresi la sua difficoltà e ringraziai i presenti. Per i quali era una cosa nuova, veder premiati gli stessi dirigenti federali, i fischietti, una cosa differente. Non la solita serata da torneo.

Fu l'ultima volta che vidi Antonio, e credo fosse intorno al 10 di ottobre o poco prima perché la serata di premiazione era il 1° novembre. Fatto è che Antonio se ne andò la notte tra il 13 e il 14 gennaio del 2002, intorno alle 2.30 del mattino. Prima di raccontarvi qualche particolare di profonda sensibilità, rammento che, per mio naturale istinto, in occasione della finale di Coppa, il 6 gennaio, e domenica 12, volli mandare un normale saluto di affettuoso incoraggiamento ad Antonio, uomo, padre, arbitro e dirigente, che, tutto insieme, sapeva convincerti di certe considerazioni, con la sua esperienza. Ebbene: lessi il Corriere dello Sport qualche giorno dopo la sua dipartita, forse il 16 o il 17 gennaio, a firma di Pesciaroli, suo amico, e mi commossi, quando tra le righe l'articolo raccontava di un Antonio che fino all'ultimo, alla domenica alle 13.15 (prima si chiudeva a quell'ora la trasmissione), fosse intento, sul comodino del “Fatebenefratelli” di Roma (Isola Tiberina), nel sentire per radio le vicende del “suo” calcio. Una cosa che mi ha inorgoglito, che mi ha riempito di commozione, pensare che la mia voce di operaio dell'informazione, di conduttore, dall'emittente Radio Spazio Aperto, al tempo, abbia tenuto compagnia a un personaggio di grande storia sportiva quale è stato il sor Antonio. Ancor'oggi, da qualche parte, dovrei avere il ritaglio di “quel” Corriere dello Sport.

La seconda indicazione arriva all'alba - Fatto è che alle 5.15 del 14 gennaio squilla il telefono di casa mia, zona piazza Sempione, e la voce era quella di Sergio Pirozzi. Sono passati oltre otto anni, e lo ricordo come fosse stamattina, all'atto di alzarmi: “Ma', so Sergio”, un attimo di pausa, e mentre stava per dirmi, l'odierno sindaco di Amatrice, qualcosa di riempitivo di quel corto e allo stesso tempo, lungo, doloroso momento, ho detto: “Sè, ho capito. E' per Antonio? Se n'è andato, il presidente, in Cielo?”. “Sì, è morto stanotte. Te passo a prende tra un'oretta e mezza”. Con lui siamo andati all'Isola Tiberina, parlando poco, in macchina. Ma ricordo, quando mio Padre mi chiese chi fosse, la lucidità avuta nel raccontargli che un suo idolo di lazialità, se ne fosse andato: “Papà, il Sor Antonio, il presidente Sbardella, è andato!”. Papà si fece il segno della croce dicendo: “Povero Sbardella! Quante domeniche passate a sentirne le gesta per radio e allo stadio”. Già, Papà è stato anche Carabiniere, tanti anni fa, e conosceva, come per laziali dello stampo di Alfredo Monza, genitore di Luciano, conosciuto allenatore di Promozione, Prima e Seconda Categoria delle nostre latitudini, il percorso, umano e professionale di quello che, con Concetto Lo Bello, è stato uno dei più grandi arbitri della storia italiana e mondiale. Non a caso diresse la finalina tra Germania e Uruguay, allo stadio Azteca di Città del Messico, due o tre giorni prima di Brasile-Italia.

Con Sergio Pirozzi arrivammo all'Ospedale Fatebenefratelli tra i primi, a omaggiare quel che rimaneva di Antonio, battuto dalla malattia come un normale mortale, ma forte e stimato al punto di superare le barriere del tempo. Sembrava un capo di stato, in quel feretro solenne, e di lì a due giorni lo avremmo salutato in tanti, sulla via Aurelia, a Nostra Signora di Guadalupe. Ma vederlo al termine dei suoi giorni terreni non sembrava reale. Era come svegliarsi dopo due lustri e due anni, e vedere che l'uomo che aveva guidato il calcio a cinque, la persona che aveva proposto delle norme sui tornei regionali, avesse esaurito il suo compito in terra. Andava accettato, come hanno fatto, con dignità, i familiari.

La terza immagine è forse la più intensa, il saluto dell'Amico di gioventù, Nando Martellini. Ricordo che Antonio è salito nella Gerusalemme celeste, anzi, nel suo caso bianco-celeste, di lunedì, il 14 gennaio 2002, e due giorni dopo sarebbe stato un piovoso e freddino mercoledì 16, con un anticipato arrivo di diversi, alle esequie, nella bella chiesa bianca sistemata sull'Aurelia, appena dentro Roma. Si sarebbero riempiti in un attimo, parcheggio e Chiesa di Nostra Signora di Guadalupe. Fu talmente piena la Chiesa che le navate furono tutte e tre impegnate. Fu una cosa di grande intensità emotiva. All'uscita, tra il traffico e i vigili, sulla soglia del piazzaletto della Chiesa, trovo il coraggio, la sfrontatezza per rispondere a una telefonata di Guido De Angelis dallo studio di Radio Spazio Aperto, ma soprattutto la faccia tosta per incomodare un distinto signore dal cappotto chiuso ed elegante, che stava cavallerescamente sotto braccio alla sua Signora. Era l'uomo che ci ha fatto emozionare l'11 luglio 1982 dicendo per tre volte la frase: “Campioni del mondo!”. Già, Nando Martellini. Il quale, con quel garbo che l'ha reso altrettanto apprezzato, e con la giusta pazienza, comprese la volontà di questo giovane cronista (avevo 32 anni, n.d.r.) impegnato nel raccontare via radio questo immenso omaggio fatto al suo Amico fraterno di gioventù, Antonio Sbardella. Che da quel giorno andava nominato all'imperfetto, strana sensazione. Mi raccontò due passaggi, che conservo gelosamente. Il primo a ruota libera: “La sensazione è che il tempo sia passato, e ricordo sempre con piacere i tempi in cui eravamo due giovani scavezzacolli che andavano in giro per Palestrina, e con Antonio abbiamo vissuto delle belle giornate, anche con le famiglie, abitando pure a Roma uno vicino all'altro”. Poi menzionò un aneddoto che ho scolpito come avessi Martellini di fronte, ora, mentre scrivo, e cerco di non sbagliare, nel rammentare ciò. Disse, il benvoluto telecronista della terza Coppa del Mondo: “Ricordo ai Mondiali di Mexico, nel 1970 quando vedemmo, uno di fianco all'altro, la semifinale Italia-Germania. Ho compreso tutto il suo spessore quando, al gol di Rivera, lui comprese, in quell'attimo passato alla storia, che non avrebbe coronato il sogno di tutta la carriera, per un arbitro, che è quello di dirigere la finalissima di un Campionato del Mondo. Antonio smise di pensare al suo sogno, quello di uno che quel mestiere, e sul 4-3, smise i panni dell'arbitro, in quel preciso istante, e, con un gran balzo verso di me, si mise a esultare con grande entusiasmo, e si è lasciato andare esprimendo tutta la gioia. Lì è uscito fuori l'Antonio sportivo, tifoso, che accantonava la possibilità di dirigere la finale del primo posto”.

Eravamo sotto un'acqua insistente, ma fu una grande testimonianza, apprezzata anche dallo studio, dal buon Guido De Angelis, che mi chiedeva, nel frattempo, di salutare uno dei figli, Antonio junior, per gli amici Poppi, con cui ha sempre avuto una buona amicizia.

E' una testimonianza che custodisco nell'angolo più riservato del cuore. Ma che quaranta anni dopo quella partita, con la coincidenza della medesima finale giocata tra le stesse nazionali, Germania e Uruguay, ritengo fosse uno dei giusti ossequi, verso un grande personaggio e un arbitro che resterà nella storia mondiale dello sport. Ho avuto il privilegio di raccontarne qualche passaggio, da dirigente, con la fortuna di ascoltare un suo Amico di sempre, e gran signore. Un eterno giovane dei tempi di Palestrina, come è stato Nando Martellini. Come è stato Antonio Sbardella.

 

Massimiliano Cannalire

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